Lotta al racket report e polemiche
I rappresentanti dell’Asaec Libero Grassi polemizzano con i docenti che hanno approntato il report sulla situazione delle estorsioni in città e danno la loro chiave di lettura sul clamoroso calo delle denunce.
Il report della discordia. Potremmo definire in tal modo il lavoro presentato la scorsa settimana, alle Ciminiere, nel corso di un incontro organizzato dal commissario della Provincia di Catania, prefetto Giuseppe Romano. Un report approntato da tre docenti dell’Ateneo cittadino ed avente per titolo «Il fenomeno estorsivo nella provincia di Catania».
Ebbene, risultati e contenuti di tale lavoro non sono stati ritenuti condivisibili da parte della platea, a cominciare dai rappresentanti dell’Associazione antiestorsione di Catania (Asaec), intitolata a Libero Grassi, che hanno inviato una lunga nota, a firma del presidente Giovanni Bonanno, prendendo spunto da quanto riferito e discusso nel corso dell’appuntamento delle Ciminiere.
L’Asaec, «che opera senza clamore dal 1991», sottolinea come il report sia stato «redatto da tre docenti che, esclusa una minima competenza della professoressa Palidda, non sembrano essere cultori dell’argomento in oggetto». Per questo il lavoro, commissionato non si sa bene da chi («perché non dirlo? »), «non soltanto è lacunoso per le grossolane imprecisioni ma descrive una situazione cristallizzata al 2000, come se prima e dopo non fosse successo alcunché di diverso a Catania ed in Sicilia».
«Il report, fra l’altro – prosegue la nota – omette di analizzare il fenomeno dell’abnorme proliferazione di associazioni antiestorsione avvenuta in seguito all’entrata in vigore della legge 20 della Regione siciliana che stabiliva l’erogazione di fondi in favore delle associazioni antiracket; e, soprattutto, dimentica di analizzare le ragioni del contestuale lento ed inesorabile crollo delle denunce. Un crollo clamoroso rispetto ai primissimi anni ‘90, quando noi del’Asaec non avevamo il tempo di assolvere alle innumerevoli richieste di aiuto da parte delle vittime che volevano essere accompagnate dalle forze dell’ordine a sporgere denuncia».
Esiste un collegamento fra questo crollo e la Legge 20? Bonanno e gli altri rappresentanti dell’Asaec garantiscono di sì: «I soldi non devono andare alle associazioni, ma alle vittime. Lo diciamo dal lontano ‘99, quando dopo la presentazione dell’iniziativa dapprima a Palermo, in Commissione Antimafia, e quindi al Comune di Giarre, distribuimmo ai presenti un documento per esprimere il nostro totale disaccordo sul finanziamento alle associazioni. Che dovrebbero essere costituite da imprenditori e professionisti i quali, avendo vissuto un’esperienza estorsiva conclusasi positivamente, decidono di spendere una parte del tempo libero per aiutare le altre vittime a denunciare. La fiducia delle vittime non si acquisisce facendosi mantenere dallo Stato ma con l’empatia, la serietà, l’onorabilità e la credibilità costruita personalmente da ciascuno dei singoli soci durante la loro personale esperienza lavorativa e durante quella legata al fenomeno. Siamo certi che tutti coloro i quali si impegnano in questo settore, lo fanno per vero spirito antiracket? Oppure ci sono anche interessi personali? ».
Ed a proposito delle inesattezze del report, ce n’è una che riguarda personalmente l’associazione intitolata a Libero Grassi: «Non è vero che i soci erano tutti iscritti alla Confesercenti, non è vero che alcuni soci sono andati via perché non condividevano la linea dell’associazione, è vero semmai il contrario e cioè che sono stati invitati a lasciare l’associazione, che, da parte sua, si è data il compito di fare assistenza alle vittime ma anche cultura antimafia. Da molti anni, ormai, l’Asaec si fa carico di denunciare le leggi ingiuste, le connessioni criminali tra le Istituzioni e l’imprenditoria, l’utilizzo improprio dei beni confiscati. Non ci stanchiamo, lo ripetiamo, di contestare l’abominevole destinazione di risorse alle associazioni e il corrispondente depauperamento delle risorse alle forze dell’ordine ed alla magistratura. Ci occupiamo di diffondere la cultura della legalità non soltanto nelle scuole ma anche attraverso i mezzi d’informazione e organizzando convegni di alto contenuto sociale e culturale».
Anche perché «la mafia è cambiata rispetto a vent’anni fa: mantiene il controllo del territorio con il pizzo imposto a piccoli commercianti ed artigiani, ma a livelli più alti oggi l’estorsione ha lasciato il posto alla corruzione; gli imprenditori si accordano senza i metodi violenti che provocano allarme sociale, consapevoli che con le tangenti si rischia poco o niente. E la società civile oggi si ritrova più o meno inconsapevolmente invischiata con la società mafiosa. Che poi è quella più difficile da identificare, perché ha ormai la faccia pulita dei corrotti e si nutre dell’incosciente consenso della popolazione. Non è un caso che le denunce per estorsione sono in fortissimo calo. Non soltanto perché lo stato ritarda nella concessione alle vittime dei benefici economici previsti dalla legge 44/99, ma soprattutto perché è più conveniente fare affari con la mafia e con le organizzazioni criminali. Poi, invero, nel tempo, molti imprenditori comprendono che quello di affiancarsi alla mafia economica è stato un pessimo affare, ma spesso è troppo tardi e l’impresa è già nelle mani dei mafiosi che impongono all’imprenditore, al massimo, di fare da prestanome».
«Occorrono, insomma – chiude Bonanno – scelte politiche coraggiose, processi rapidi e pene severe. Soprattutto la sospensione della prescrizione con la sentenza di primo grado, che troppo spesso risulta comoda scappatoia per tanti delinquenti. Noi queste cose le abbiamo dette e continuiamo a dirle. Senza sponsor alle spalle. Con la dignità e la speranza di chi vuole che in questa terra non alligni più la ma lapianta del pizzo».
laSicilia, 05 aprile 2015