ASAEC: «GRATUITO PATROCINIO ANCHE PER LE VITTIME DEL RACKET»
ASAEC: «GRATUITO PATROCINIO ANCHE PER LE VITTIME DEL RACKET»
La nota dell’Associazione antiestorsione ASAEC di Catania a seguito della decisione della Corte Costituzionale
CATANIA – D’ora in avanti anche chi è già stato condannato in un processo per mafia o per associazioni finalizzate al contrabbando di tabacchi potrà, in un successivo procedimento, accedere al gratuito patrocinio dello Stato, dimostrando il livello di reddito previsto dalla legge. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 139 del 16 aprile 2010.
In riferimento a questa decisione, l’Asaec – Associazione antiestorsione “Libero Grassi” di Catania – chiede di estendere il gratuito patrocinio anche a tutte le vittime di estorsione e di usura: «L’imprenditore che ha sempre denunciato i suoi redditi – spiegano i soci – dopo aver subito per anni le vessazioni della criminalità organizzata, dopo aver perso quasi tutto il suo patrimonio, dev’essere tutelato dallo Stato, seppur in possesso di pochi beni di proprietà come la casa. Lo Stato che garantisce il mafioso, dev’essere a maggior ragione garantista nei confronti dell’imprenditore che ha deciso di denunciarlo».
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma di legge che, nei processi, preclude ai mafiosi l’accesso al gratuito patrocinio da parte dello Stato, senza un’effettiva verifica della situazione di reddito. Rispetto all’esclusione assoluta prevista dalla norma, d’ora in poi – ha stabilito la Corte costituzionale – spetterà al richiedente dimostrare, attraverso documentazione adeguata, lo stato di povertà e al giudice verificarne l’attendibilità.
In riferimento a quanto deciso, l’Asaec sottolinea inoltre che, «se da un lato è indiscutibile la difesa da parte dello Stato democratico in favore di ogni cittadino indiziato di reato, anche del mafioso indigente; dall’altro ci domandiamo quali mezzi e quanto tempo occorreranno per dimostrare che “proprio” quel mafioso si trovi realmente in una situazione di indigenza. Se è noto a tutti che il mafioso non fa la denuncia dei redditi perché di certo i suoi proventi sono illegali – commentano i soci attraverso una nota – e se è altrettanto noto che è difficilissimo risalire ai patrimoni illeciti, in considerazione che questi ultimi vengono reimpiegati nel circuito legale con il sapiente consiglio di professionisti collaterali alla mafia, ci domandiamo: “Come farà il Tribunale a dipanare tutta la filiera del flusso di capitali dal momento del riciclaggio fino al completo reimpiego?”».
19 aprile 2010