Il “caso Catania” davanti al Tribunale di Roma e l’autocensura dei media

Pubblicato da Giambattista Scidà Martedì 4 Agosto 2009

E’ incominciato, a Roma, e proseguirà il 24 settembre, il processo per diffamazione a mezzo stampa, a carico di Marco Travaglio, Giuseppe Giustolisi, e Paolo Flores d’Arcais : autori, i primi due, dell’articolo “Arrivano i catanesi”, apparso su “MicroMega” (3/2006, pp.95-103); e direttore, il terzo, di quella rivista. Il querelante, costituitosi parte civile, è il dott. Giuseppe Gennaro, Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Catania, già membro del CSM (’94-’98), e due volte Presidente dell’ANM (1999 e 2006).

Nonostante la grandissima notorietà delle parti, nessun giornale ha dato notizia del processo : neanche i giornali siciliani, malgrado la causa abbia ad oggetto il filone principale del cosiddetto “ Caso Catania ”, scoppiato sul finire del 2000 e mai venuto ad effettiva chiusura.

L’ampiezza dell’autocensura dimostra come sia risibile l’additare nel “monopolio” dei media locali, tutti nelle stesse mani, il responsabile unico della non-informazione o disinformazione su Catania.

Il monopolio è certamente infesto, ma non costituirebbe da solo un grave problema. Anche concentrata come ora, l’informazione locale, stampata e televisiva, non potrebbe né tacere fatti importanti, né mettere in circolazione notizie mendaci, se i media a diffusione nazionale non praticassero come una religione, esigente ed estremista, l’evitamento della questione catanese, della vera questione, che è madre di tutte le altre. A Catania arrivano inviati di quotidiani e settimanali, ma solo per “raccontare” di Scapagnini e del dissesto, come opera di Scapagnini soltanto : “racconto” consentito, a modo delle letture permesse o consigliate nelle biblioteche parrocchiali di un tempo: purché senza accenni, assolutamente interdetti, né alla corresponsabilità, nel dissesto, di amministrazioni precedenti (che si tratta, anzi, di estollere al cielo) né a quelle, fondamentali, della mancata repressione degli abusi. Nessun inviato ha potuto chiedersi, per i lettori, dove fossero mai, mentre lo sfacelo avanzava, le Procure della Repubblica.

Se le grandi testate non praticassero rigoroso silenzio su Catania, e sulla vera questione catanese, che è quella della Giustizia, diverso sarebbe anche il comportamento, nei confronti dell’area etnea, del CSM, e del Ministero della Giustizia, e della Commissione Antimafia; diverso del pari quello dell’Ufficio che da Catania risponde a richieste di ragguagli e valutazioni, del Ministero, del Consiglio, della Commissione Antimafia, o della Procura Generale della Cassazione

Purtroppo la pratica del pretermettere.e celare è ormai consolidata. E’ la linea de

“L’Espresso”, sin da quando esplose il “caso Catania” (novembre e dicembre 2000), e su di essa si attesta anche il recentissimo “Magistratura, l’ultracasta” di Stefano Livaidotti: così inconfutabilmente preciso nel mettere in luce, col coraggio mancato a moltissimi altri numerose esorbitanze del CSM, ma interamente elusivo delle più macroscopiche tra tutte, e quasi incredibili, che riguardano, appunto, uomini e cose di Catania.

Il primato, in questi esercizi, va ora riconosciuto a Report, servizio che, quando non si tratti di Catania, non fa sconti a nessuno. L’ancòra recente puntata sulla nostra città ha bensì investito, come nessuno sino a quel giorno, il monopolio dei media locali e del suo detentore, con riferimento alla pluralità dei campi nei quali ne sono percettibili presenza e peso, ma niente si è potuto permettere né in ordine al “caso Catania”, né relativamente al drammaticissimo tema della criminalità minorile, il quale conduce, non appena sfiorato, a disfunzioni della giustizia ordinaria (gli Uffici del P.M. presso il Tribunale ordinario) per trafila ben chiara: lo scempio delle risorse pubbliche, sottratte alla bonifica dei quartieri deprivati, dai quali provengono i ragazzi devianti, l’impunità di cui esso scempio ha lungamente goduto.

Come si spiega una tale scelta del giornalismo? è la politica a volerla, localmente unanime sul punto, salvo il dissenso di esponenti di RC, e forte di superbe proiezioni sul piano nazionale? sono, insieme con essa, grandi interessi? è, con l’una e con gli altri, una forza inafferrabile, che ama l’ombra? E quant’è, nei protagonisti dell’autocondanna al silenzio, la mancanza di vocazione al combattimento per la verità, l’indifferenza al pubblico bene, la libido adsentandi?

Un caso lascia trasparire pressioni politiche irresistibili. Era il ’97, credo, quando l’inviato di un grande settimanale, venuto a Catania per un’inchiesta sulla Procura della Repubblica, finì col rinunciare alla pubblicazione del testo (28 cartelle, diceva), perché fermato da politici di vertice (mi fece per telefono un nome fatidico). Mi aveva chiesto, senza conoscermi (né io sapevo di lui), per indicazione venutagli da avvocati e magistrati, copia di un mio appello del ’96 al CSM; e mi si era detto sgomento dell’aver trovato più di quel che già gli era noto: non voleva, aggiunse, che suo figlio, allora quattordicenne, crescesse in un paese afflitto da mali tanto gravi. Il suo arrivo era stato preceduto da un annuncio del quotidiano locale (una messa in guardia dal favorirgli cooperazione?); e un’emittente locale aveva avvertito: “dobbiamo prepararci a legger calunnie!”. Era più che un mero pronostico: era un invito a non concorrere nel “delitto”.

Il coro dei mutismi, il perfetto sistema di nascondimento, è presidiato da molteplici dispositivi di blocco delle rarissime trasgressioni. Isolamento delle voci, dissuasione dal continuare, ed infine repressione giudiziaria, messa in moto da qualcuno degli “offesi”. “MicroMega”, colpevole, nel 2001, di un intollerabile articolo di Antonio Roccuzzo, fu indotta, per anni, al silenzio, e adesso, improvvisamente relapsa, come un’eretica tornata all’errore, é minacciata di rogo giudiziario. E intanto una specie di vuoto pneumatico è stato fatto, sin dall’inizio, attorno all’articolo di Travaglio e Giustolisi, che nessuno ha ripreso.

Ordinariamente, querele e denunce non sono prive di effetto; inducono, per intanto, a fermarsi, e possono indurre ad accettare composizioni anche mortificanti per chi le accetta. La sfiducia in un séguito giusto (irrispettosa per i giudici, ma spiegabile per la posizione dei dencianti e querelanti), ha talvolta portato alla resa uomini che avevano scritto secondo verità.

L’armata giornalistica, tacitamente attendata intorno a Catania, garantisce ai potenti del luogo la libertà di calcarla, e garantisce a forze esterne quella di negarsi alle invocazioni di aiuto. Se Catania è una città pestiferée – viene alla mente, con forza, il romanzo camussiano – il cordone di silenzio che la cinge è fatto perché il male non cessi; è fatto contro i Rieux che vorrebbero combatterlo : non perché illusi di vincerlo, ma per l’onore del luogo. Ne conosciamo taluni, che scrivono invitti su fogli di poche pagine, dalla diffusione a tre cifre, a volte conquistandosi con fatica quello stesso spazio. Ne conosciamo, sì, e teniamo ad onorarli : chapeau bas!, galantuomini di Catania, davanti a questi nostri concittadini, che non cessano di testimoniare per la verità, a loro personale rischio e pericolo.

Giambattista Scidà